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Natale al tempo di Covid

Questo Natale sarà diverso dagli altri? Partirei da una riflessione umana: questa festa ha sempre rappresentato un punto di riferimento non solo per la nostra fede di credenti, ma anche per la nostra cultura in generale. Quante forme musicali, artistiche, quante tradizioni, appuntamenti, iniziative di solidarietà sono nate da questa festa. Ma soprattutto il Natale si caratterizza come l’incontro degli affetti famigliari: ad immagine della scena del presepe, tanti parenti lontani si ritrovano nel calore della casa per stringersi in un abbraccio, soprattutto ai nostri bambini, che aspettano di aprire i doni del Natale. Ora la situazione che stiamo vivendo sconsiglia questi incontri, per ragioni di precauzione e per dare la possibilità ai nostri bravi medici, infermieri e personale di poterci curare nel miglior modo. In questo tempo sentiamo ancora di più il bisogno di ritrovare tutti insieme i motivi della speranza e della gioia.

Scrivono i nostri Vescovi: Non possiamo nascondere di trovarci in un tempo di tribolazione. Dietro i numeri apparentemente anonimi e freddi dei contagi e dei decessi vi sono persone, con i loro volti feriti e gli animi sfigurati, bisognose di un calore umano che non può venire meno. La situazione che si protrae da mesi crea smarrimento, ansia, dubbi e, in alcuni casi, disperazione. Un pensiero speciale, di vicinanza e sostegno, va in particolare a chi si occupa della salute pubblica, al mondo del lavoro e a quello della scuola che attraversano una fase delicata e complessa: da qui passa buona parte delle prospettive presenti e future del Paese. «Diventa attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione più integrale e integrante» (Laudato si’, n. 141). 

Anche in questo momento la Parola di Dio ci chiama a reagire rimanendo saldi nella fede, fissando lo sguardo su Cristo (cfr. Eb 12,2) per non lasciarci influenzare o, persino, deprimere dagli eventi. Se anche non è possibile muoversi spediti, perché la corrente contraria è troppo impetuosa, impariamo a reagire con la virtù della fortezza: fondati sulla Parola (cfr. Mt 13,21), abbracciati al Signore roccia, scudo e baluardo (cfr. Sal 18,2), testimoni di una fede operosa nella carità (cfr. Gal 5,6), con il pensiero rivolto alle cose del cielo (cfr. Gal 3,2), certi della risurrezione (cfr. 1Ts 4; 1Cor 15). Dinanzi al crollo psicologico ed emotivo di coloro che erano già più fragili, durante questa pandemia, si sono create delle “inequità”, per le quali chiedere perdono a Dio e agli esseri umani. Dobbiamo, singolarmente e insieme, farcene carico perché nessuno si senta isolato!” (dal discorso dei Vescovi Italiani per il Natale 2020)

Sono parole cariche di incoraggiamento. Ma ci chiediamo da dove trarre questa forza, dove trovare la energie per reagire e non sprecare questo tempo di prova, col rischio che tutto quello cha stiamo vivendo non ci spinga a cambiare. E’ il Natale, con la sua disarmante semplicità, ad attirarci verso questo cambiamento. Gli evangelisti, narrandoci il ricordo di quei fatti passati, trasmettono la novità di quello che è accaduto. Innanzi tutto il re-messia, aspettato e cercato nelle grandi corti del tempo, nasce nascosto nella semioscurità di un luogo infimo: una stalla, ricovero di animali e luogo di riparo per poveri viandanti. La spogliazione non solo di ogni fasto esteriore, ma anche di una normale accoglienza, è il preannuncio della passione di Gesù. Nel giorno della sua morte, sul Golgota, spogliato delle vesti Egli si riveste solo di amore, come solo dall’amore era illuminata la grotta della sua nascita.

La compagnia del presepe, a dispetto del luogo molto povero, è invece una cerchia famigliare molto illustre. Maria è il meglio delle creature, la madre migliore, Giuseppe le sta accanto per proteggere il bambino. La famiglia viene visitata dai pastori che accorrono per adorare colui che è nato e il luogo si riempie di stupore e meraviglia. A questa meraviglia e questa contemplazione ci spronano i nostri Vescovi: questo che viviamo è un “ tempo di preghiera. A volte potrà avere i connotati dello sfogo: «Fino a quando, Signore…?» (Sal 13). Altre volte d’invocazione della misericordia: «Pietà di me, Signore, sono sfinito, guariscimi, Signore, tremano le mie ossa» (Sal, 6,3). A volte prenderà la via della richiesta per noi stessi, per i nostri cari, per le persone a noi affidate, per quanti sono più esposti e vulnerabili: «Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio» (Sal 16,1). Altre volte, davanti al mistero della morte che tocca tanti fratelli e tante sorelle e i loro familiari, diventerà una professione di fede: «Tu sei la risurrezione e la vita. Chi crede in te, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in te, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Altre, ancora, ritroverà la confidenza di sempre: «Signore, mia forza e mia difesa, mio rifugio nel giorno della tribolazione» (Ger 16,19).

La scena del Natale si conclude con il ritorno dei pastori. Essi se ne andarono pieni di stupori e meraviglia per quello che avevano veduto. Ritornarono alla loro vita di prima: vita fatta di sacrificio, di povertà, di fedeltà e attaccamento al loro gregge. Cosa ricordarono di quella notte così particolare? Un gesto di obbedienza fatto agli angeli, un povero dono condiviso con i genitori del bambino, ma soprattutto la gioia dell’incontro con il Messia, intravisto come promessa realizzata in un piccolo fanciullo. Cosa resterà in noi di questo Natale. Ci scrivono ancora i nostri Vescovi: “A ogni cristiano chiediamo un rinnovato impegno a favore della società lì dove è chiamato a operare, attraverso il proprio lavoro e le proprie responsabilità, e di non trascurare piccoli ma significativi gesti di amore, perché dalla carità passa la prima e vera testimonianza del Vangelo. È sulla concreta carità verso chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato che tutti infatti verremo giudicati, come ci ricorda il Vangelo (cfr. Mt 25, 31-46). Ecco il senso dell’invito di Paolo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12). Questo è il contributo dei cattolici per la nostra società ferita ma desiderosa di rinascere. Per noi conta testimoniare che l’unico tesoro che non è destinato a perire e che va comunicato alle generazioni future è l’amore, che deriva dalla fede nel Risorto. Noi crediamo che questo amore venga dall’alto e attiri in una fraternità universale ogni donna e ogni uomo di buona volontà. “

don Lino Civerra

don Lino Civerra, da “La Voce che chiama, Natale 2020