(27 Giugno 2021)
(Omelia di Papa benedetto XVI)
Un’antichissima tradizione, che risale ai tempi apostolici, narra che proprio a poca distanza da questo luogo avvenne l’ultimo loro incontro prima del martirio: i due si sarebbero abbracciati, benedicendosi a vicenda. E sul portale maggiore di questa Basilica essi sono raffigurati insieme, con le scene del martirio di entrambi. Fin dall’inizio, dunque, la tradizione cristiana ha considerato Pietro e Paolo inseparabili l’uno dall’altro, anche se ebbero ciascuno una missione diversa da compiere: Pietro per primo confessò la fede in Cristo, Paolo ottenne in dono di poterne approfondire la ricchezza. Pietro fondò la prima comunità dei cristiani provenienti dal popolo eletto, Paolo divenne l’apostolo dei pagani. Con carismi diversi operarono per un’unica causa: la costruzione della Chiesa di Cristo. Nell’Ufficio delle Letture, la liturgia offre alla nostra meditazione questo noto testo di sant’Agostino: “Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì… Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli” (Disc. 295, 7.8). E san Leone Magno commenta: “Dei loro meriti e delle loro virtù, superiori a quanto si possa dire, nulla dobbiamo pensare che li opponga, nulla che li divida, perché l’elezione li ha resi pari, la fatica simili e la fine uguali” (In natali apostol., 69, 6-7).
A Roma il legame che accomuna Pietro e Paolo nella missione, ha assunto sin dai primi secoli un significato molto specifico. Come la mitica coppia di fratelli Romolo e Remo, ai quali si faceva risalire la nascita di Roma, così Pietro e Paolo furono considerati i fondatori della Chiesa di Roma. Dice in proposito san Leone Magno rivolgendosi alla Città: “Sono questi i tuoi santi padri, i tuoi veri pastori, che per farti degna del regno dei cieli, hanno edificato molto più bene e più felicemente di coloro che si adoperarono per gettare le prime fondamenta delle tue mura”(Omelie 82,7). Per quanto umanamente diversi l’uno dall’altro, e benché il rapporto tra di loro non fosse esente da tensioni, Pietro e Paolo appaiono dunque come gli iniziatori di una nuova città, come concretizzazione di un modo nuovo e autentico di essere fratelli, reso possibile dal Vangelo di Gesù Cristo. Per questo si potrebbe dire che oggi la Chiesa di Roma celebra il giorno della sua nascita, giacché i due Apostoli ne posero le fondamenta. Ed inoltre Roma oggi avverte con più consapevolezza quale sia la sua missione e la sua grandezza. Scrive san Giovanni Crisostomo che “il cielo non è splendido quando il sole diffonde i suoi raggi, come lo è la città di Roma, che irradia lo splendore di quelle fiaccole ardenti (Pietro e Paolo) per tutto il mondo… Questo è il motivo per cui amiamo questa città…per queste due colonne della Chiesa” (Comm.a Rm 32).
Dell’apostolo Pietro faremo memoria particolarmente domani, celebrando il divin Sacrificio nella Basilica Vaticana, edificata sul luogo dove egli subì il martirio. Questa sera il nostro sguardo si volge a san Paolo, le cui reliquie sono custodite con grande venerazione in questa Basilica. All’inizio della Lettera ai Romani, come abbiamo ascoltato poco fa, egli saluta la comunità di Roma presentandosi quale «servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione» (1,1). Utilizza il termine servo, in greco doulos, che indica una relazione di totale e incondizionata appartenenza a Gesù, il Signore, e che traduce l’ebraico ‘ebed, alludendo così ai grandi servi che Dio ha scelto e chiamato per un’importante e specifica missione. Paolo è consapevole di essere “apostolo per vocazione”, cioè non per autocandidatura né per incarico umano, ma soltanto per chiamata ed elezione divina. Nel suo epistolario, più volte l’Apostolo delle genti ripete che tutto nella sua vita è frutto dell’iniziativa gratuita e misericordiosa di Dio (cfr 1 Cor 15,9-10; 2 Cor 4,1; Gal 1,15). Egli fu scelto «per annunciare il vangelo di Dio» (Rm 1,1), per propagare l’annuncio della Grazia divina che riconcilia in Cristo l’uomo con Dio, con se stesso e con gli altri.
Dalle sue Lettere sappiamo che Paolo fu tutt’altro che un abile parlatore; anzi condivideva con Mosè e con Geremia la mancanza di talento oratorio. «La sua presenza fisica è debole e la parola dimessa» (2 Cor 10,10), dicevano di lui i suoi avversari. Gli straordinari risultati apostolici che poté conseguire non sono pertanto da attribuire ad una brillante retorica o a raffinate strategie apologetiche e missionarie. Il successo del suo apostolato dipende soprattutto da un coinvolgimento personale nell’annunciarne il Vangelo con totale dedizione a Cristo; dedizione che non temette rischi, difficoltà e persecuzioni: “Né morte né vita – scriveva ai Romani – né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (8,38-39). Da ciò possiamo trarre una lezione quanto mai importante per ogni cristiano. L’azione della Chiesa è credibile ed efficace solo nella misura in cui coloro che ne fanno parte sono disposti a pagare di persona la loro fedeltà a Cristo, in ogni situazione. Dove manca tale disponibilità, viene meno l’argomento decisivo della verità da cui la Chiesa stessa dipende.